Teatringestazione, compagnia teatrale
La prova di ciò che non si vede di Giovanni Trono
Testi all’arrivo: ogni artista, sollecitato/a dal testo Sfidare la fede, di Emmanuele Curti, ha contribuito con una raccolta di riflessioni, proprie e/o di altri autori, prima dell’arrivo in residenza.
Qui alcuni link sparsi a commento del testo Sfidare la Fede di Emmanuele Curti:
CONVERSAZIONI PARALLELE: Carmelo Bene. La fede
Il dispositivo dell’infedeltà: per una lettura rizomatica dell’opera di Marx
Giotto – I simboli dei Vizi e delle Virtù nella Cappella Scrovegni
La nostra fede – Pietro Gobetti
Di seguito la trascrizione “La nostra fede” di Piero Gobetti
Le disavventure della vita pubblica italiana, la mancanza di sincerità e di chiarezza (concretazione massima ed esponente: il Giolittismo) sono frutto di una tragica contraddizione e di una disastrosa eterogeneità di metodi e di uomini, di principi e di conseguenze.
Per risolvere la contraddizione bisognerà liquidare i sistemi non più rispondenti a realtà, in modo che i due termini ora contrastanti si armonizzino in uno sviluppo logicamente completo e coerente.
Gli schemi in cui si svolge la vita politica nostra (i partiti) non consentono agli uomini sufficiente vitalità. Gli uomini cercano nella vita pratica realtà ideali concrete che comprendano (pur senza fermarvisi) i loro bisogni e le loro esigenze.
Oggi i partiti si sono limitati a formule vaste ed imprecise, da cui nulla si può logicamente e chiaramente dedurre.
Rappresentano, si dice, gli interessi dei singoli, ma badiamo che a procedere nettamente questo rappresentare interessi di singoli porta non solo all’egoismo (che di per sé non sarebbe un male tanto terribile) ma addirittura fuori della politica – che è organizzazione. Si riduce – e va annullandosi – la possibilità di azione comune, la quale può nascere solo dal coesistere, accanto agli interessi, delle ragioni ideali, teoriche, ed esse poi concretate, cioè diventate questioni politiche.
Nella vita attuale dei partiti invece di concreto c’è solo un circolo pernicioso per cui gli uomini rovinano i partiti, i partiti non aiutano il progresso degli uomini.perché i partiti rappresentano un passato, sono storia che si tenta di ripensare non concreta attualità. L’idea centrale del socialismo (nonostante tutto un tentativo ardimentoso, ma isolato e sfortunato per assorbire il nucleo centrale della morale idealistica) e rimasta un comunismo freddo, illusorio, lontano dalle menti e dalle conquiste della scienza economica: le dottrine democratiche – che dovrebbero essere la vitalità stessa, intima che anima la storia e risolve le contingenze – sono restate le ideologie del 700, un Illuminismo in ritardo e da più di un secolo agonizzante; il nazionalismo dei Treitzsche e dei Naumann fallito con la guerra non dovrebbe rappresentare più nulla in quanto dogmatismo ridicolo, ideologia sorta sulla grossolanità di un gretto positivismo e ridotto a imperialismo puro, quindi vuoto, vizioso, senza scopo.
Le idee insomma in cui le forze si inquadrano, i partiti, sono rimasti a dietro di un secolo. Gli uomini ci stanno a disagio. La storia va innanzi: gli uomini con essa. Gli schemi non possono restare gli stessi. Se non si liquidano, se rimangono, vanno soggetti nella pratica realtà alla deformazione che su di essi operano i singoli, favoriscono la disorganizzazione, la confusione, essi che per organizzare e sistemare erano sorti. Permangono nominalmente ed ecco che il dissidio s’accresce. Dissidio di sviluppi, dissidio tra premesse e sviluppo. Naturalmente nella realtà stessa quotidiana tale contraddizione non può permanere, ma non si può d’altra parte in nessun modo arrivare stabilmente all’unificazione. E si procede particolarmente, di giorno in giorno ad una composizione momentanea, che a volta a volta non può essere se non trionfo di interessi personali con smarrimento completo degli ideali e asservimento delle attività ad un vuoto nominalismo. E in tutti i casi scetticismo negli uomini migliori con invadenza delle attività malefiche.guardate la vita politica da un punto di vista di onestà illimitata: ne provate disgusto; E il disgusto degenera in astensionismo, scherno, indifferenza per i supremi interessi. Il regime rappresentativo non ha più il favore popolare. Ma che cosa volete sostituirgli? la teocrazia?
Ognuno bada agli affari propri e tira avanti.la risultante sola è il disastro. Perché la vita dello Stato è vita solo in quanto è concretazione dell’attività di tutti i cittadini coscienti ed operosi. Fuori si perde la direzione del progresso e c’è solo deviazione. E sulla deviazione si incontrano i viottoli da tutte le parti. L’anarchico, che nega l’organizzazione, il borghese vecchio stile, che vede lo Stato nell’impiegato delle imposte, il socialista, che negata la nazione per una realtà più ampia ritiene di concreto solo più la sua realtà individuale, tutti costoro li vedete fissi ed intenti alla loro minuscola personalità. A preoccupazioni che non sono politiche.
Il rimedio verrà da un sano ripensamento di idee, da un processo ansioso e accurato di chiarificazione di principi, da una perfetta coscienza delle relazioni che vi sono tra le necessità della vita e i principi ideali che le trascendono.
II.
Quale può essere logicamente e praticamente il valore di un partito? Non altro che quello che gli deriva dal suo contenuto, sia esso attuale o tradizionale.e poiché contenuto oggi si identifica per i più con programma, il valore di un partito sta nelle sue formule. Intendo formula in senso ampio comprendendo cioè sia il valore che possono avere logicamente, sia quello che praticamente vi si può vedere.
Mi pare chiaro che in ogni caso nel concetto stesso di formula c’è un elemento che ne fissa ne limita la portata reale. Formula è conclusione, è punto d’arrivo, elaborazione che presuppone tutto un processo spirituale, tutta una serie di sforzi nei quali anche sta la sua giustificazione e la sua importanza. Sono un’astrazione, un simbolo di risultati conquistati, non il fatto concreto della conquista stessa. Il valore del simbolo sarà tutto nell’efficacia che esso presenta ad esprimere tutto il processo presupposto. Resta evidente però che ad intendere questo valore non basta una pura accettazione; è necessario ad ogni individuo ricreare il risultato rifacendo il processo. E cioè il partito accanto alla formula deve contenere un altro elemento deve assumersi un’altra missione: guidare alla compressione della storia della formula. Lungi dall’essere una risoluzione, un quietismo di illusi esso si presenta come un divenire senza tregua, una lotta intima continuata, un processo di autocoscienza progressivo. E le formule avranno efficacia in ognuno solo in quanto rifatte gradualmente, prodotte dal proprio spirito.
Questo precisamente io nego che abbiano tentato di essere i partiti politici nostri.
Hanno offerto stasi e consolazione a poveri arretrati; e poiché le formule erano decrepite l’accettarle doveva essere già di per sé un ripiegarsi su se stessi, un regredire.sono rimasti una tradizione che appena pochi isolati hanno tentato di sentire di continuare i più hanno invece adattato all’interesse loro materiale.
Di educazione politica non c’è stata neppure l’ombra. Come sempre quando si lascia la storia per le astrazioni, il dinamismo per lo statico.
Sicché i partiti si sono ridotti a schemi mentali, a mezzi di classificazioni, e, quando determinarono azioni, di azioni incoscienti. È mancata la fiamma che animasse le formule, il metodo, la comunanza di spirito che ne vivificasse le conseguenze. Si sono enunciate le formule e poi si sono cercati gli uomini capaci di diffonderle. Ma le formule e gli uomini che le difendono devono nascere insieme.
Il problema dell’azione si è fatto arduo. Per procedere innanzi si tratta di distruggere interamente un’illusione. Si tratta di svalutare le formule conclusive per riportare tutta l’importanza ai metodi, ai processi di arrivo.lavorare per questo risultato non è certo lavorare a breve scadenza; i risultati saranno lenti; ma si tratta di un intero rivolgimento morale. Appunto per questo noi non mettiamo avanti le grandi formule.portiamo con noi un metodo nuovo, una passione nuova. Che nasce da una reazione cosciente necessaria per il semplicismo dei cosiddetti riformatori, da una chiara visione della complessità dei problemi, della enormità delle piccole questioni che non si possono risolvere mediante un ipostasi di generalità. Ma dalla reazione viene resa più chiara e più esplicita un’affermazione, che è la nostra fede, la vita nostra. La vedremo. Per ora esaminiamo tutta la portata della nostra negazione. Ci sogliono dire gli avversari che noi entriamo in politica senza una chiara coscienza dell’importanza dei problemi massimi, senza aver pronta una risoluzione per essi. Ma esistono in verità questi grandi problemi? O non sono piuttosto un modo più o meno comodo e semplice di raggruppare per necessità di metodo e di abiti mentali una quantità di altri piccoli e difficili problemi che bisogna risolvere uno per uno? Guardiamo per un momento uno di questi grandi problemi e fattori politici che corre oggi nella bocca di tutti: la lotta di classe. Sotto la frase c’è per i più un certo significato abbastanza chiaro accumulatosi per tradizione che importa coscienza di privilegi sociali, di odio reciproco che ne è determinato, di una necessità di composizione in cui gli odi, e i privilegi che ne sono la causa, vengano a scomparire. Ma questo senso è così elastico da far nascere in molti la convinzione che un colpo di Stato, una rivoluzione possa spazzar via risolvere ogni cosa. Rivoluzione: ecco un metodo molto spiccio; è facile ugualmente quell’altro: conservatorismo, reazione.
Noi vedendo il problema abbiamo invece la presunzione di studiarne gli elementi per vederne la soluzione: e allora sotto il concetto di privilegio troviamo degli interessi legittimi e che devono essere riconosciuti ad ognuno e devono essere tutelati: l’odio si può comporre in una coscienza più chiara della necessità dei rapporti sociali e dell’interdipendenza.
Sentiamo che dal concetto di uguaglianza di possibilità e di differenza di esplicazioni (concetto necessario ed indistruttibile) deve scaturire necessariamente quello di una distinzione sociale, si chiamino le distinzioni classi o come altro si vuole.
Ed allora il problema della tutela dei diritti di ognuno ci si presenta – poniamo – nella forma dell’organizzazione sindacale concretandosi in una serie di problemi tecnici con i quali molto agevolmente si connettono problemi complessi di assistenza e di assicurazioni sociali, di crediti popolari, eccetera.
A questo modo non negando le distinzioni, ma lavorando perché siano giuste e legittime risolviamo ogni giorno il problema, che ogni giorno, in nuove forme ci si presenta.
Non è vero insomma che manchi a noi una concezione dello Stato: noi siamo fermamente convinti di poterla imporre e sovrapporre questa concezione generale nello stato presente di cose che finirà magari per esserne capovolto e mutato radicalmente ma solo mediante un lavoro lungo e paziente che scuota e muti un po’ anche gli uomini.
Non si può prescindere nella nostra azione da millenni di storia, di lavoro umano, non si può negare una tradizione che è tutta in noi che ci dà il suo valore e la sua importanza.si può solamente continuarla. E continuarla vuol dire mettere in relazione il pensiero attuale, libero, degli uomini con l’eredità di lavoro che essi hanno ricevuto. I due elementi si condizionano a vicenda per dar vita al progresso. Ed io non so davvero come possa chiamarsi comunque concezione generale dello Stato una ideologia che pur partendo da certi presupposti reali trova modo, per virtù di fantasia e di umanitarismo di arrivare ad una negazione spaventosa e ad una pretesa di potenza grottesca addirittura.
III.
Anche per convinzione generale noi non crediamo alla possibilità di fare la politica deduttiva. Rientriamo anche qui nel vizio nostro di assenza di visioni generali che perfettamente significhino le realtà politiche. Nella nostra colpa di sfiducia per le idee toccasana, vaghe, generali, a cui tutto si può adattare tutto magnificamente giustificare.
Si può fare della deduzione dove si parte da una unità, individuale o universale non importa, purché sia profondamente sentita: ma nella realtà pratica abbiamo una complessità di attività le quali avranno uguaglianza di natura o di possibilità, ma differenze profonde di intensità spirituale per cui gli effetti quasi sempre trascendono le cause, che alla loro volta sfuggono e non si possono interamente analizzare. C’è sì la significazione dello spirito che tutte le comprende e in tutte infonde la sua capacità di vita, ma questa capacità non si fissa a priori per un atto di conoscenza; la conoscenza si sviluppa progressivamente insieme al sorgere delle azioni e non le puoi razionalmente prevenire.
Come si vede il nostro scetticismo per le idee generali (generiche) non toglie per nulla che in ogni azione noi riconosciamo una razionalità e nei rapporti tra le azioni una logicità che deriva dalla unità dello spirito.
Purché non si confonda politica con filosofia. Poiché in filosofia c’è la coincidenza perfetta di pensiero e azione: l’azione null’altro e se non lo sviluppo del pensiero di ogni individuo; in politica invece l’intervento di nuovi elementi, di nuove attività reca la conseguenza che l’azione trascende il grado di possibilità di ognuno e due sono le forme di conoscenza: il pensamento di realtà attuata o attuante e la previsione. È nel campo della previsione che bisogna ricordare che non si ragiona di filosofia…
Nello stesso modo noi distinguiamo la politica dalla morale. Attività pratica nell’uno e nell’altro caso, sta bene. Ma nella morale è l’individuo che comprende e crea la sua attività pratica, regola le sue azioni in rapporto agli altri, facendosi quindi centro del mondo. Nella politica invece l’attività pratica in gioco è quella di molti uomini che mirano a risultati diversi, e la direzione generale che ne viene determinata e in funzione delle varie concezioni degli uomini, alcuni dei quali possono aver guardato all’interesse universale, ed altri al proprio, ed altri ad uno fittizio. se dunque politica e morale possono essere unificate in una riflessione retrospettiva, in quanto dialetticamente non contraddittorie si diversificano nella concretezza dell’attività spirituale che le produce. Una buona politica è sempre anche morale in quanto deve raggiungere il benessere generale; ma nel mondo delle contingenze ci sono degli uomini che cercano il benessere universale ed altri no (il fato non è altro che l’incontrarsi e l’elidersi incosciente di queste forze): la politica è tutta qui nel pensare a queste relazioni, a questi modi di presentarsi dell’attività pratica.
IV.
Torniamo ora all’esame dei partiti e delle formule; vi troveremo un nuovo difetto organico (di assenza di intima logicità) che aggiungendo visi, aggrava l’altro errore di metodo (mancanza di sviluppo). E qui ampliamo un po’ il concetto con un esame rapido: accenni di obiezioni, abbozzi di critica, spunti per chiarire le idee. Del socialismo abbiamo analizzato ho risolto nei suoi elementi il concetto di classe. Un’esagerazione dogmatica ed assoluta di un dato di fatto vero; la libera
differenziazione degli uomini-tutti apparteniamo ad una classe, ma la classe che vogliamo e appunto in questo, nel vedere il limite, e nel saperlo posto da noi, c’è il superamento della classe o il trionfo di una realtà più ampia che la comprende, la nazione. E perché non l’umanità? obiettano i socialisti. Ma la nazione stessa è umanità, umanità che non ci sfugge, chiara in quanto concretazione storica, in quanto formata da una tradizione millenaria. E la nazione potrà anche essere compresa nella realtà di umanità, ma non per giustapposizione di concetti, sì per concreto lavoro storico a cui tutti portino il loro contributo di azione.
Il socialismo non ha visto questa concretezza.non la vista in quanto ideologia sorta sull’ambiente storico della rivoluzione francese e per soddisfare le esigenze del periodo che portò al 48. Finite quelle condizioni storiche tutto il comunismo critico si è sfasciato come organismo e i socialisti d’oggi è rimasto lo stato d’animo di un comunismo tutto primitivo fatto di umanitarismo e di amore di uguaglianza. Scelgano ad ogni modo i socialisti: con l’abito scientifico che attentato di dare il Marx alle vecchie teorie e allora rispondano all’economia classica E alla storia con cui Marx si trova a fare a pugni; o la fraseologia di uguaglianza e fraternità (che turba come vedremo tutta un’altra visione delle cose: la democrazie); un’esegesi precisa in cui si dica quanto accettano di Marx, quanto di umanitarismo e di Illuminismo. Ma Librido risultato che ne verrà non dimentichino di sottoporlo al giudizio della storia e magari di Karl Marx stesso maestro, che con tutto il suo concretismo si ribellerebbe per primo al moralismo e Mazzinianesimo di molti suoi seguaci. Il dilemma finisce per porsi esplicitamente: o con Marx o contro Marx. Ma i socialisti nostri – come non si sono occupati mai delle relazioni tra lo Stato futuro, in cui il regno della giustizia fulgida verrà instaurato, e la umana iniquizia che oggi ci tormenta – così non si sono mai posti risolutamente il problema dell’esegesi di Marx e della conseguente determinazione del socialismo attuale. Ora una teoria che non ha continuatori si può dire morta per certo. Il socialismo resta tuttavia in molti, se non altro come stato d’animo di simpatia, perché si fa paladino e Don Chisciotte di ogni opposizione al governo, e alla sua bestialità quotidiana. Ma questa posizione critica non ha proprio niente a vedere con il socialismo. Tanto che l’abbiamo anche noi, del comunismo avversari risoluti. Solo deprechiamo che diventando in essi un abito di perpetuo scontento, questa opposizione si annulli di per sé rimuovendo ogni possibilità di concreti risultati. Resta il problema della diffusione del socialismo, della forza attuale del partito. E saremo alla necessità di vedere l’autocoscienza negli aderenti. Lungi da noi ogni sospetto di voler svalutare un’idea rispettabile come il socialismo con dei dubbi sulla onestà e sulla buona fede. Ma noi vediamo nel socialismo d’oggi un problema di organizzazione del lavoro e non altro. Se questo problema l’ha posto Marx viva Dio! Vedremo chi lo risolverà. Noi non ce ne dissimuliamo certo l’importanza fondamentale. Ma stiamo ancora per la soluzione nazionale con cui si potrà conciliare benissimo la forma sindacale.e la conciliazione va spuntando: in Inghilterra, forse, chi lo sa?, In Germania…
Soluzione nazionale che non ha niente a che vedere con il nazionalismo. Col quale si ricade in un dogmatismo di pessima lega.oggi la forma ufficiale del nazionalismo non ha realtà e non ha contenuto fuori dell’imperialismo.anche qui agli aderenti io chiederei di mettersi d’accordo con la propria coscienza. Nel nazionalismo vige lo stesso sistema di proselitismo che nel socialismo. Ammetti il progresso? Sei umano? Dunque sei socialista. Accetti la patria, la nazione? Dunque se nazionalista. Ma accettata alla nazione, c’è il problema dell’organizzazione nazionale. I nazionalisti non ci si fermano. Il solo problema è l’espansione, e la conseguente sistemazione dell’esercito. Cioè il solo problema è un circolo vizioso. Io non pretendo di negare il concetto di lotta in cui culmina l’attività, che crea il progresso. E questa lotta potrà anche, essere allo stato attuale di cose, lotta di eserciti, ma non può essere solo questo perché la guerra non avrebbe più neppure oggi la sua funzione benefica.ci sono altre forme di attività conseguente lotta, più vive, più proficue e verso queste bisogna andare, verso queste si va, togliendo man mano di mezzo forme di lotta che non corrispondono più all’esigenza di lavoro e di progresso. E tra queste forme noi comprendiamo la guerra per la guerra esaltata dei nazionalisti; comprenderemo domani magari ogni forma di guerra come confluire di attività esplicantesi in forme brutte.
Perché per noi è tutto il valore della vita e nel lavoro, nell’intensità di lavoro il problema dell’organizzazione è un problema di sistemazione di forze autonomi e disciplinate. Ma i nostri nazionalisti, sono più semplicistica di noi o forse più superuomini. Che l’industria la dirigono essi dove voglio e ne fanno ciò che vogliono (la mandano anche a rovina col protezionismo); di problemi di amministrazione non sicura perché c’è lo Stato che può e deve fare ciò che gli garba. Che autonomia locale! La verità è nell’accentramento! O sublime poesia di un uomo solo, o di pochi uomini che guidano tutta la nazione all’interno e all’estero! Poi c’è veramente un problema interno d’amministrazione? Non basta l’esercito? Organizziamo semmai alla militaresca tutta la burocrazia. Così, o pressappoco, ragionano i nostri amici nazionalisti.sicché ci sentiamo il diritto di passare ad altri più acuti ragionatori.
una realtà politica, almeno nella concezione del popolo, è costituita certamente dall’organizzazione cattolica.che ha per sé una tradizione a favore della quale cerca di sfruttare gli stati d’animo prevalenti: conservatorismo rigido ed ideale d’amore. Tutto lo sforzo della Chiesa cattolica è stato diretto a impadronirsi della realtà universale cristiana per acquistarne la privativa e i diritti di proprietà.il solito sistema che abbiamo già visto nei socialisti e nazionalisti, di assicurarsi una realtà ideale più ampia per farvi passare con disinvoltura il loro credo. È il credo qui sarebbe la teocrazia. Data la rivelazione di verità di cui la Chiesa è depositaria esclusiva non ci può essere altra logica conseguenza fuori dall’assolutismo.dice bene il Giuliano: “ogni religione per sua natura e per natura stessa della sua missione tende con ogni sforzo a dominare la vita civile, ad imporle il suo insegnamento: ogni religione diventa necessariamente Chiesa, e il suo ideale, per quanto celato e modificato nelle contingenze storiche, è necessariamente la teocrazia. Anche nella concezione dantesca, il governo civile è una specie di cura d’anime in sottordine“ (unità 1912, n. 36).
Ma il fatto stesso che pensare non vuol dire essere cattolici, che rivelazioni di verità ne hanno date e ne danno tutti gli uomini, costituisce una dimostrazione definitiva della aberrazione di quel pensiero. – quando si ammetta l’atto del pensare non come un’astrazione, ma lo si riconosca in ognuno concretamente, come si riconosce in ognuno il diritto alla vita. – il cattolicesimo è un momento dello spirito, non tutto lo spirito, per la semplice ragione che nessuna formula può abbracciare tutto lo spirito, nessun insegnamento lo può determinare. Almeno per noi che non siamo scolastici, ma comprendiamo e giustifichiamo nella nostra fede anche la scolastica.
E qui c’è posto e giustificazione per un’altra realtà politica: la democrazia. Punto di partenza della quale è proprio l’affermazione della legittimità di ogni forma di pensiero, e la negazione di tutte le rivelazioni di verità, perché la verità è concretazione e creazione di un individuo, ed è insieme progresso e universalità che trascende la possibilità dei singoli.
In questa fede che è semplicemente una forma di enunciazione della parità di diritti e di doveri, dell’eguaglianza di possibilità, cioè la parte sana della democrazia che si identifica con l’idealismo. Ma nella parte sana c’è stata una profonda iniezione corruttrice di settarismo settecentesco. La democrazia che nega tutte le fedi, tutte le rivelazioni, perché tutte le supera e comprende è diventata anticlericalismo, si è limitata ad essere lotta contro una setta e se quindi abbassato sino ad acquistare caratteri di setta. Nell’umanitarismo alla russo a confuso l’uguaglianza di possibilità con uguaglianza di attualità, alla libera differenziazione ha opposto un amore universale sterile e pacifico, ha fatto degenerare la sana tolleranza, che era la sua fede concreta, in indifferenza ideale che consente poi in pratica la più biliosa intransigenza e più vivi accomodamenti.
Della sua affermazione ideale ha fatto una dottrina, mentre non era che un punto di partenza su cui esplicare la propria attività.il frasario l’Ismo radicale e massonico ha pervaso ed occupato ogni ideale democratico. Ed anche la parola non è stata screditata. Democrazia è diventata sinonimo di demagogie; si è confuso anche per molti col socialismo, una specie di socialismo non rivoluzionario pieno di giustizia e di buona volontà. Una nuova rivelazione di verità o pressappoco.
Noi tuttavia non ci distogliamo da questa base che sola abbiamo riconosciuto sana e feconda. Ne facciamo il punto di partenza anche per l’attività nostra, la forma in cui esplicare la passione nuova; solo un’affermazione di spiritualità intensa, di idealismo che non sa ostacoli può essere compatibile con la nostra premessa di fede democratica.ma il nostro idealismo non può limitarsi a uno sforzo teorico, deve pervadere noi è tutto di un soffio solo di vita intima, intensa.
Essere ad ogni momento noi, realizzare tutta la nostra possibilità di azione per noi per gli altri in ogni istante sentire il palpito esultante ed inebriante della vita, sempre, e non come mezzo a questa o quella pallida idealità evanescente, ma in sé e per sé come mezzo e fine alla idealità stessa che sprigiona dal suo intimo. Attingere in tale fede la capacità e la forza di rinnovarsi ad ogni istante, vedere la vita come umanità che si svolge e si supera, debolezza che si vince senza arrestarsi mai, concretezza in cui ogni umile atto acquista la sua santità, la sua consacrazione perché è atto nostro: ecco la gioia ed il significato dell’essere, la divinità del tempo, che è progresso in cui muore l’ostacolo! Questa potenza vivificatrice dello spirito è soffocata negli uomini dalle degeneri abitudini, cristallizzazioni in cui tutto l’ardore si perde, pigrizia bestiale per cui si potrà fuggire la fatica, la lotta, ma ottenendo una pace, una quiete estenuante in cui echeggia solo più il ritmo snervante e monotono delle occupazioni di tutti i giorni.
Bisogna che noi creiamo ogni giorno una conquista nuova e, poiché conquistare non è che allargare il proprio, bisogna che noi arriviamo a comprendere sempre più l’immanenza dello spirito a vedere in ogni fatto, bisogni conseguenza una parte della nostra anima stessa.
Con questa passione profonda – che non diventa abitudine e neppure azione inconsulta, ma resta normalità intensa, conquista progressiva e non intermittente o frammentaria – non si concilia la freddezza e l’indifferenza che pervade e irrigidisce la vita d’oggi. Malattia che consuma ed uccide, bassezza per cui i nervi si rompono all’atto stesso della loro funzione. Tutta la vita moderna è estenuata da questa spaventosa anemia. Ma noi ci ribelliamo. Riportiamo a questo punto la distinzione tra moralità e immoralità. Non può essere morale chi è indifferente. L’onestà consiste nell’avere idee e credervi e farne centro e scopo di sé stesso. L’apatia è negazione di umanità, abbassamento di sé stessi assenza di idealità. Può essere in molti affettazione di superiorità e pretesa di originalità, ma tutta la massa di assenti c’è da preferire gli intolleranti, gli uomini feroci di parte, pervasi di odio che non cessa. Questi prendono posizione, non fuggono la lotta. Ed è più umana la malvagità che la vigliaccheria. Nell’immensità Del mondo dello spirito non possiamo predicare l’astensione per nessuna forma. Ogni modo di attività è legittimo se umano. Onesto è riconoscere una deficienza del proprio pensiero, ma non si può disprezzare ciò che ci manca. Tale è il rigido senso di responsabilità che ci dà la nostra fede.
Siamo ora all’azione immediata in cui dovremmo concretare non la formula ma tutto il nostro spirito. Fissare la linea di questa concretazione ormai non deve essere difficile. Bisogna diffondere e far sentire la nostra concezione di vita e di vitalità, bisogna mettere in rilievo la differenza che c’è tra la schematicità morta dei partiti, e la potenza dello spirito. È un lavoro a lunga scadenza che mira a creare degli uomini migliori, più sinceri, più forti. Per raggiungere questa umanità migliore dobbiamo svalutare e distruggere le abitudini, gli schemi, le indifferenze.
Per certo un lavoro che richiede muscoli e nervi a posto. Ma mentre distruggiamo un mondo di pregiudizi e di deficienze costruiamo con ardore e pazienza il mondo della concretezza. Sostituiamo agli ultimi resti della verità rivelata la verità che si conquista giorno per giorno con lavoro di ciascuno. Alle astrazioni generiche l’esame accurato, senza preconcetti del piccolo e del grande problema che sorge. Soltanto con questo trovare le soluzioni e sistemarle si fa della politica.
Pietro Gobetti
https://it.wikipedia.org/wiki/Socialismo_e_barbarie
Punk Islam
Islam punk, Islam punk, Islam punk und punk Islam
Punk Islam, punk Islam, punk Islam und Islam punk
Istanbul sono a casa
Corro di fianco al muro
Non lo so, non lo voglio sapere
Che differenza fa
Wir sind die Turken von morgen
Invece di pensare continua a salmodiare
Islam punk, Islam punk, Islam punk und punk Islam
Punk Islam, punk Islam, punk Islam und Islam punk
Se fossi un figliol prodigo
Avrei un vitello grasso
Mi sono perso ad Istanbul
E non mi trovano più
Dovrebbero seguire le mie voglie
La sera appena alzato o tardi la mattina
Dopo la colazione prima d’addormentarmi
Chiudi un po’ la finestra
Mezzogiorno in penombra
Sfondo bianco e pulito
Sfondo bianco e pulito
Islam punk, Islam punk, Islam punk und punk Islam
Punk Islam, punk Islam, punk Islam und Islam punk
Tre dall’ospedale psichiatrico
Tre in libertà invigilabile
Tre che incontri se meriti
Non ne girano molti
Martin battezza le strade
Dona loro una vita
Fa sacrifici al traffico
Offre agli Dei dei muri
A Istanbul sono a casa
Ho un passato e un futuro
Ho un presente che è Dio
E fa la cameriera
Non ne girano molte
Solo nei posti giusti
Non ne girano molte
Solo nei posti giusti
Islam punk, Islam punk, Islam punk und punk Islam
Punk Islam, punk Islam, punk Islam und Islam punk
Istanbul tanz
Istanbul tanz
Istanbul tanz, tanz, tanz
Tanz Istanbul
Tanz Istanbul
Istanbul tanz
Istanbul tanz
Istanbul tanz
Ankara, Ankara
Allah è grande e Gheddafi è il suo profeta
Punk in Beirut
Punk in Smirne
Punk in Ankara
Punk in Beirut
Punk in Smirne
Punk in Ankara
Ankara, Ankara
Islam punk, Islam punk, Islam punk und punk Islam
Punk Islam, punk Islam, punk Islam und Islam punk
Istanbul tanz
Istanbul tanz
Istanbul tanz, tanz, tanz
Tanz Istanbul
Tanz Istanbul
Istanbul tanz
Istanbul tanz
Islam punk, Islam punk, Islam punk und punk Islam
Punk Islam, punk Islam, punk Islam und Islam punk
Punk in Beirut
Punk in Smirne
Punk in Ankara
Punk in Beirut
Punk in Smirne
Punk in Ankara
Ankara, Ankara
CCCP!
Come una malattia della pelle localizzata
Ogni irripetibile chance un disturbo residuo
Pravda! Pravda! Rude Pravo! Tribuna Ludu! KGB! KGB! KGB!
Altroché uomo nuovo
Sensazionale, afferrare l’occasione propizia
Indicare con una crocetta
La qualità, la quantità desiderata
La qualità, la quantità desiderata
Fedeli alla linea
Fedeli alla linea
Fedeli alla linea
CCCP!
SSSR!
Fedeli alla linea, anche quando non c’è
Quando l’imperatore è malato, quando muore o è dubbioso o è perplesso
Fedeli alla linea la linea non c’è
Fedeli alla linea la linea non c’è
Fedeli alla linea la linea non c’è
Fedeli alla linea
Fedeli alla linea
Fedeli alla linea
CCCP!
SSSR!
Altroché uomo nuovo
Altroché uomo nuovo
Altroché uomo nuovo
Uno dei momenti più significativi, in cui si verifica un incontro fra teatro e democrazia fondamentale per lo sviluppo e l’evoluzione delle loro stesse identità e delle istituzioni culturali e sociali in genere, è il teatro greco prima ancora della sua codificazione in tragedia e commedia (VI secolo a. C.), nel suo formarsi nell’agorà. Elemento essenziale e originario della città greca, l’agorà era il centro della vita quotidiana della polis e la sede del choròs, e teneva unite le funzioni attinenti al politico e al sacro, luogo di incontro e confronto pubblico e luogo di rappresentazione dell’arte coreutica. Nella cultura greca arcaica non esistono i concetti di autore, attore e spettatore, ciò che accade nell’agorà è la rappresentazione danzata, corale di un patrimonio condiviso: il rinnovamento di una memoria collettiva in cui l’intera comunità si riconosce. Le stesse danze e i canti del coro rispondono a esigenze sociali, sono frutto di pratiche culturali, e in esse è riconoscibile quel patrimonio paideutico di cui è depositaria la tradizione epica.