Elio Mariucci
“Archetipi transitori”
testo in catalogo di Lorenzo Fiorucci
27 giugno – 20 settembre 2020
Elio Mariucci è artista poliedrico che, con la moglie Emanuela, spazia tra le arti visive, la poesia, il design, la scenografia teatrale. Insieme hanno sviluppato una poetica e un segno riconoscibili fatti di colore, ritualità, con una sensibilità che li ha avvicinati sia ai grandi artisti che al pubblico più trasversale.
L’artista ha partecipato e contribuito alla scena artistica e culturale del territorio – e non solo – fondando il Gruppo 13×3, collettivo di artisti attivo tra il 1978 e il 1999, che trovava in Piero Dorazio un punto di riferimento carismatico.
La mostra, allestita nei suggestivi spazi di Palazzo Muglioni, oggi Casermarcheologica, ha visto una sala dedicata alla nuova produzione dell’artista, Residui Attivi, l’ultima serie di nuove opere realizzata nel periodo della quarantena e molti altri lavori scelti tra le produzioni Incantestimi e talismani ed Ex Voto.
Il curatore Lorenzo Fiorucci, nel testo inserito nel catalogo della mostra, osserva: Elio Mariucci è un artista dotato di “grazia”, capace di sciogliere spigolature di una rigidità formale e liberare energia generando un irresistibile “effetto magico”.
L’inaugurazione si è svolta on-line, domenica 21 giugno alle 18.00.
Progetto realizzato nell’ambito del bando Rigenerazione Urbana a base culturale
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Incantesimi e talismani: la magia dell’arte di Elio Mariucci
di Lorenzo Fiorucci
“Per una pittura più che divertente, potabile, maestosa, irriverente, trasgressiva, elettromagnetica e, finalmente, trionfante.” Si chiudeva con questo intento programmatico il breve Manifesto 1983, siglato in quello stesso anno dal gruppo 13×3 al completo. Gruppo di cui Elio Mariucci è stato protagonista e animatore assieme a Gino Meoni, Corrado Ottaviani e Piero Pellegrini, animando il tessuto artistico centro italico con il merito (che andrebbe prima o poi studiato seriamente consegnando finalmente alla storia una pagina non secondaria di una stagione importante per Città di Castello e l’Umbria), di rinvigorire tutta quella linea di pittura astratta che trovava sostegno in un indefesso e coriaceo Piero Dorazio, mentore ispiratore del gruppo tifernate. Una frase di poetica che mi sembra possa racchiudere ancora oggi lo spirito che muove la ricerca orami solitaria di Elio Mariucci, che per la mostra Archetipi/transitori, allestita in una cornice unica e fortemente simbolica com’è la CasermArcheologica di Sansepolcro, non rinuncia allo spirito ironico, maestosamente irriverente. Uno spirito che si palesa già nel titolo nel quale l’artista evidenzia, in un ludico ossimoro, l’esplicito riferimento dell’inconscio collettivo, di Junghiana memoria, in cui l’aspetto magico superstizioso della mente associativa sopraffa il pensiero logico razionale. Una sorta di nevrosi che mi pare sia indice evidente di uno stato confusionale, ma anche di vacanza intellettuale, in cui la società attuale vive questo nostro tempo, per comodità più che per necessità. Per l’occasione l’artista recupera un tema, quello dell’incantesimo, che dava il titolo a un grande dipinto del 1995 in cui, avvolti in ricchi cromatismi lirici, affioravano al centro della tela tre grandi coni, metafore di spine pungenti pronte a trafiggere il mondo afflitto da un sortilegio. In quell’opera confluivano i caratteri ancora oggi presenti nella pittura di Mariucci che, come notava già allora Dorazio, è un artista dotato di “grazia” luminosa, capace di sciogliere spigolature di una rigidità formale e liberare energia luminosa generando un irresistibile “effetto magico”. Osservando le ultime realizzazioni: Incantesimi e per riverbero i Talismani, non sfugge come quella magia si sia mantenuta pur entro un cambio linguistico che arricchisce la scelta puramente pittorica proiettata nella ricerca di un formalismo cromatico, verso una necessità più intima in cui il colore diviene legante per un dialogo con l’oggetto, recuperando l’ironia pungente e sociale del Dadaismo storico. É infatti l’oggetto, l’elemento significativo di queste opere, che interviene in varie forme come contenitore o come object trouvè nel dialogo pittorico talvolta “irriverente” tra il ricordo del sacro e attualità del profano, sicuramente “elettromagnetico” nell’armonia espressiva che Mariucci conferisce nel connubio tra forme antiche e lineamenti plastici moderni. Ancor più credo sia “trionfante” nell’attualizzazione dell’oggetto, spesso un rifiuto, valorizzato nella sua essenza formale nel suo naturale equilibrio compositivo come emblema di conoscenza, recupero e reinterpretazione empirica, di un sapere storico, rinvigorito e immesso nuovamente nel mondo attuale sempre più privo di memoria e sempre più bisognoso di Talismani. Sulla necessità di raggiungere un equilibrio si muove in fondo tutta la ricerca attuale di Mariucci, un equilibrio che trova anche nella ritualità di un gesto quotidiano come la combinazione fantasiosa, mai ripetitiva ne ripetuta, di elementi materici e cromatici inseriti in una forma preordinata – come nella serie delle Sardine, spesso condivise nella realizzazione come altri lavori, con la moglie Manuela – il momento di adesione attiva a un sentimento di socialità condivisa. Un atteggiamento ormai raro negli artisti odierni, spesso ripiegati nell’autonarrazione di se, ma che Mariucci recupera come esperienza storica di un passato più sensibile a questi temi proiettando l’arte in una dimensione morale all’interno della società, come stimolo alla riflessione o come semplice adesione ad un pensiero che conserva la speranza di un’evoluzione collettiva della specie verso altri lidi della ragione.