Luce e Acqua



Il vetro riflette la luce del sole accecando i passanti.

Una frazione di tempo, pochi istanti in cui quel fascio di luce colpisce preciso, tutti i giorni. Raramente uno di loro si ferma a osservare al di là del bagliore.

Mettere la mano vicino agli occhi come per vedere al di là della solita vita, cercando di scrutare l’oggetto della vocazione, con la speranza intrinseca di chi vuole aprire il vaso di Pandora, di chi vuole riprovare quel desiderio ormai perso nella memoria di un bambino che non può tornare a casa.

Noi li guardiamo da dietro il vetro,

la nostalgia pervade ogni bolla di aria artificiale,

in quell’istante ci fermiamo tutti,

tratteniamo l’acqua nelle vene,

poi, il momento finisce, il sole cala a picco.

 

Torna la notte e fino allo schiarire del mattino

siamo solo noi, senza distrazioni,

senza nessuno che nei momenti di attesa possa osservare incantato i colori delle vesti che indossiamo.

 

Un mondo sommerso, menti immerse,

un gioco di luci, un lampo, un tuono senza boato,

una mano che non si può toccare,

il suono di una bolla che scoppia, e scoppia, e scoppia,

con la cadenza del battito di un tamburo,

voci ovattate,

un soffitto nero senza cielo.

 

Nato orfano, nato in prigionia, nato per non vivere.

L’ultimo. Sono l’ultimo a ricordare il sapore della libertà.

Stesso ufficio, stesso pulsante per accendere il neon della vetrina, stessi rituali per l’apertura.

Quando io me ne andrò, tornerò a nuotare nell’acqua dal sapore dei sassi melmosi.