Racconto di Eleonora Marangoni
Foto di Silvia Noferi
C’era una volta un giorno di settembre. Un sabato di sole, di vicoli stretti e lunghi, pieni di cielo e di silenzio.
Da Roma a Sansepolcro il viaggio è sempre un po’ più lungo di quello che si immagina. Oltre alla distanza geografica, si lascia un mondo per arrivare in un altro, e questo richiede sempre un cambio di passo e di sguardo. Metro, treno, poi corriera. Curve nel verde e fermate in mezzo al niente. Ed eccolo il borgo, che quando ci arrivi non sembra mai tanto sorpreso di vederti. Ti accoglie con calma, ti sorride sereno. Poi torna, come sempre, a far finta di niente.
Via Niccolò Aggiunti è una via solenne e al tempo stesso discreta, senza alberi, lunga e diritta. Qui, al numero, 65, è conservata la Resurrezione di Cristo, che Piero della Francesca dipinse nel 1465. Una volta lo scrittore Aldous Huxley la definì «il dipinto più bello del mondo», e si racconta che fu per questo che, durante la seconda guerra mondiale, il borgo venne risparmiato dai bombardamenti alleati nel ’44. L’ufficiale di artiglieria inglese, Tony Clarke, aveva letto il saggio di Huxley, e contravvenendo agli ordini dei suoi superiori, ordinò di cessare il fuoco per salvare il dipinto.
Dieci numeri prima del Museo civico, in via Aggiunti 65, dal 2016 c’è CasermArcheologica.
Le origini della parola «caserma» sono incerte. Una delle ipotesi è che abbia origine dal francese «caserne», «camera destinata a quattro soldati». Ma poi c’è anche «casa erma», espressione in uso già dal XVI secolo, che indica una casa vuota, disabitata, in quanto abbandonata dai suoi abitanti.
In entrambi i casi, parliamo di rifugio, di un luogo di stasi e insieme di passaggio, di un posto dalla tante vite.
Palazzo Muglioni ha origini rinascimentali, e una lunghissima storia alle spalle. È stato, in ordine sparso, fabbrica, dimora nobiliare, caserma, palestra, forse convento. Ognuna di queste cose, una alla volta. Caserma, prima di Caserma, ha avuto molte vite, e i suoi muri lo testimoniano. Sono muri spessi, complicati, pieni di tracce, residui, ricchi di indizi e di strade. E, come la terra cui appartengono, conservano impronte e segni di passaggio.
E cos’è oggi? Un progetto di riqualificazione e un luogo di incontro. Uno spazio di rigenerazione urbana e un museo di arte contemporanea. Un laboratorio e un centro culturale. Un’utopia e un angolo di quiete. Un laboratorio e un atelier d’artista. Una vittoria e una scommessa.
« Hell is a place where nothing connects with nothing », ha scritto una volta TS Eliot. CasermArcheologica è esattamente l’opposto. È un posto nato, pensato e ogni giorno difeso per unire, saldare, generare legami, connessioni, opere e incontri imprevisti. Un luogo che ci scopre fatica a definire, ma anche a dimenticare. Perché muta di continuo, e insegue qualcosa senza perdere le sue radici e neppure la sua libertà.